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Pamela Anderson e l’epatite C: “Ho rischiato di morire, ora posso guarire”

E’ stata un’icona sexy indiscussa negli anni Novanta, ovvero nel periodo in cui indossava i panni di sexy bagnina nella serie tv cult Baywatch. Anche negli anni a seguire, Pamela Anderson non ha perso il suo fascino: bella, biondissima, dotata di generoso décolleté e di curve su cui sbandare. A vederla, di certo non si direbbe che sia malata. Invece sì: da molto tempo, ovvero dal 2002, combatte strenuamente contro l’epatite C. L’ha contratta a causa di un ago infetto usato durante un tatuaggio fatto insieme all’ex marito Tommy Lee e da allora affronta quotidianamente un percorso a dir poco complesso. Ha anche rischiato di morire: “Sono molto fortunata – dichiara in una recentissima intervista al magazine People – ad essere sopravvissuta all’epatite C. Sedici anni fa me la presentarono come una condanna a morte. Credo che tutto questo sia stato molto importante per la mia autostima. Anche se chi mi guardava dall’esterno mi ha sempre visto fiduciosa, io mi sentivo davvero come se una nube scura incombesse su di me senza mai lasciarmi“.

Non sta sempre male, intendiamoci. E’ un susseguirsi di alti e bassi e sicuramente la sua grande forza d’animo è stata determinante: “Sto vivendo la mia vita nel modo che voglio ma la malattia potrebbe causarmi dei problemi“. Da qualche tempo, per fortuna, c’è una luce all’orizzonte. Ovvero un nuovo farmaco da poco messo sul mercato: “La possibilità di utilizzarlo – spiega la Anderson – è una vera benedizione. Sono a metà strada. Sono davvero emozionata, mi sento felice e benedetta“. Le non lo specifica, ma con ogni probabilità si riferisce al Simeprevir che, autorizzato dall’Aifa il 23 febbraio 2015, appartiene alla classe degli inibitori della proteasi, antivirali ad azione diretta che agiscono inibendo la serina proteasi (NS3/4A), essenziale per la replicazione del virus.

Uno studio ha dimostrato come la molecola agisca efficacemente sui pazienti con epatite C cronica appartenenti ai genotipi 1 e 4, mai trattati oppure non rispondenti al trattamento. Per la prima volta una terapia soltanto orale e priva di interferone ha avuto effetti e si è dimostrata tollerabile, producendo risultati nell’arco di soli tre mesi di trattamento. Per Pamela potrebbe davvero essere la fine di un incubo. E l’inizio di una nuova vita.

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