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Mal di scuola: ne soffre 1 milione di alunni all’anno. Come curarlo senza farmaci

La camomilla all’una di notte. L’emozione per la scuola che comincia domani. Che meraviglia i bambini“. Scrive su Instagram la giornalista e conduttrice Selvaggia Lucarelli, ironizzando sul disturbo notturno che ha colpito suo figlio (nella foto sotto) prima di tornare a studiare. Ma il piccolo Leon non è certo l’unico bimbo italiano ad avere il cosiddetto “mal di scuola”. Anzi, secondo le più recenti stime, sono circa 1 milione i bambini e i ragazzi tra i 3 e i 18 anni che in questo periodo accusano diversi sintomi come: insonnia, mal di testa, inappetenza o mal di pancia. Selvaggia e gli altri genitori, però, possono stare tranquilli: tutti i malanni solitamente scompaiono in una settimana.

I disturbi – afferma il pediatra Italo Farnetani all’AdnKronos Saluteresistono oltre la settimana solo per 250 mila bimbi, che in realtà presentano non tanto il mal di scuola quanto un disagio più profondo“. In questi casi l’esperto consiglia di consultare il proprio medico di fiducia. Ma cosa si può fare per facilitare il rientro dei piccoli malati? Per prima cosa secondo Farnetani è bene non ricorrere ai farmaci: “Meglio parlare – prosegue – raccontando anche le proprie esperienze, rassicurando il bambino e spiegando che si tratta di una reazione normale“.

Insomma, cambiare abitudini (come lasciare la propria casa dopo le lunghe vacanze estive) per i piccoli, ma anche per gli adolescenti è uno stress. “Inoltre, è importante che i genitori non vivano con senso di colpa la scelta di mandare il bambino all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia – ha continuato Farnetani – Affrontare l’inizio della scuola senza complessi di colpa da parte dei genitori è il primo modo per ridurre l’entità di questi disturbi“. Il dottore, inoltre, dà alcuni consigli per rendere questo passaggio meno complicato: ad esempio, un aiuto possono essere le merende preparate da casa insieme ai propri figli e, soprattutto, per i più grandicelli è bene non creare eccessive aspettative rispetto ai risultati scolastici. Questo è sbagliato perché l’alunno potrebbe sentirsi eccessivamente responsabilizzato, con paura e ansia.

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