Cambiamenti in merito alla reperibilità in caso di malattia erano già stati anticipati, eppure i provvedimenti riguardavano solamente il privato. Ora il botta e risposta tra Inps e Cgil vuole cambiare le cose anche nel pubblico.
Tito Boeri, presidente dell’Inps, non ha dubbi: bisogna portare a 7 ore la reperibilità dei dipendenti in caso di malattia. Questo in realtà già avviene per il settore privato, visto che bisogna assicurare la propria presenza a casa nelle due fasce orarie 9-13 e 15-18. I dipendenti pubblici devono rispettare sempre due fasce orarie, sebbene siano di durata molto più breve: 10-12 e 17-19, per un totale di 4 ore.
Boeri vorrebbe livellare tale divario e ha motivato la propria proposta con i temi del risparmio e dell’equità: “Non ha senso che ci siano regole differenti tra pubblico e privato”, ha affermato, per poi aggiungere: “Credo che le fasce orarie di reperibilità debbano essere uniformate in modo da permettere di svolgere i controlli in modo efficiente, di ridurre le spese e di gestire al meglio i medici. Se una persona è malata starà in casa o in una struttura dedicata”.
Un discorso che per molti verrebbe giudicato ineccepibile è invece considerato ‘inaccettabile’ dalla Cgil. Franco Martini, segretario confederale della Cgil, ha infatti prontamente respinto la proposta affermando che tali argomenti “in realtà competono al legislatore e, se è consentito, alle parti sociali”. Martini ha fortemente criticato la mossa di Boeri, considerata ‘il peggio’: “Secondo Boeri sarebbe questa la strada da percorrere in vista del passaggio di competenze dalle Asl all’Inps in materia di controlli per i dipendenti pubblici per ‘ridurre le spese e svolgere i controlli in modo efficiente’. Quindi tutti verso il peggio per risanare i conti: semplicemente inaccettabile”. Ma è davvero giusto, per contro, che i dipendenti privati debbano sottostare a fasce orarie più ampie?
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