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Sindrome da crepacuore: pericolosa come l’infarto e colpisce soprattutto le donne

Si è sempre parlato di ‘crepacuore‘ più per descrivere le proprie preoccupazioni che per identificare una malattia vera e propria. Uno studio condotto a livello mondiale conferma purtroppo il contrario: il crepacuore esiste ed ha un tasso di mortalità del 5 per cento (lo stesso dei pazienti affetti da infarto, patologia in cui le donne soffrono più degli uomini). Battezzato con il nome di ‘sindrome di takotsubo’ o ‘cardiopatia da stress’, questa malattia colpisce in particolar modo le donne: il rapporto è addirittura di 9 a 1. Le cause sono soprattutto di tipo neurologico e psichiatrico (in primis stress e depressione), eppure si manifesta come un infarto in piena regola; dolori al petto e affanno saranno infatti i primi sintomi.

Il paziente, una volta arrivato in ospedale, manifesterà però livelli normalissimi alle coronarie, che non mostreranno alcun restringimento. Esse avranno piuttosto la forma di un palloncino e proprio da questa particolarità deriva il nome della sindrome (tsubo e tako = vaso utilizzato dal popolo giapponese per raccogliere polipi). I danni provocati da questa forma di cardiopatia sono sicuramente reversibili, eppure possono comportare degli choc al corpo (quello cardiogenico ne è un esempio, cioè quando il cuore non pompa una quantità di sangue sufficiente) e addirittura la morte nel 5 per cento dei casi.

Uno studio del 2010 aveva cominciato a delineare le cause e le conseguenze della sindrome da crepacuore, eppure solo adesso si è sfatata la convinzione che si trattasse di una patologia benigna. Il merito va in parte ai ricercatori di Cardiologia del Policlinico Gemelli di Roma, i quali hanno collaborato ad uno studio internazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine. Sono stati coinvolti 26 centri in 9 Paesi diversi, per un totale di 1750 pazienti. Quanto emerso permetterà d’ora in avanti di identificare più velocemente la sindrome, di gestire i pazienti nella fase acuta e in quella immediatamente successiva (il cosiddetto follow up), nonché di creare terapie ad hoc. L’obiettivo è quello di proseguire su questa strada per scendere in profondità anche in merito alle sue cause.

Foto: Twitter

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